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Formarsi all’Associazione Psicoanalisti Europei

Di fronte alla rapida espansione della psicoanalisi Sigmund Freud e i suoi seguaci si posero, già nei primi anni del ‘900, la questione della formazione degli analisti. Fu Carl Gustav Jung a proporre che l’analista dovesse svolgere una propria analisi personale a garanzia della sua professionalità. L’accettazione di questa proposta fu quasi unanime. Per quanto riguarda invece i requisiti necessari il padre della psicoanalisi, così come la maggior parte dei seguaci di allora, rimasero del parere che il bagaglio culturale dovesse essere il più ampio e trasversale possibile. Gli studi medici non furono considerati necessari, ma anzi in un certo senso furono sconsigliati dallo stesso Freud per via soprattutto dell’impostazione medica tutta incentrata sul paradigma organicista che distorce la visione della realtà psichica. Si suggerì per esempio lo studio della mitologia, delle religioni comparate, della letteratura, ma nessun diploma fu ritenuto requisito indispensabile. La psicoanalisi doveva rimanere libera di essere praticata da chiunque se ne dimostrasse degno.

 

L’analisi personale approfondita non può ovviamente dare totale garanzia, ma resta pur sempre il miglior modo per accertare che un vero lavoro su sé stessi sia stato effettivamente svolto. La formazione in psicoanalisi ha sempre aderito a questo criterio. L’Associazione Psicoanalisti Europei (APE) riguardo questo aspetto non fa eccezione. Anzi, le nostre regole prevedono un ritorno ai criteri dell’allora “società del mercoledì” governata dall’apertura nei confronti dei non medici (e non psicologi), del costruttivo confronto con altre discipline e del rigore dell’analisi personale approfondita della quale Jacques Lacan dirà in seguito che è l’unica ad essere veramente didattica. Cosa significa “analisi personale approfondita”? Molto semplicemente che si tratta di una vera e propria analisi personale, molto impegnativa dal punto di vista psicologico, che solitamente dura svariati anni e il cui esito rimane imprevedible. Può in effetti capitare che il desiderio di diventare analista si riveli un desiderio di essere analizzati, o che l’analizzando in qualche modo non regga al confronto con se stesso. Per questo, il passaggio dalla posizione di analizzando a quella di analista dev’essere sancito da un accordo tra i due protagonisti e in cui il parere dell’analista, pur non godendo di valore legale, rimane un imprescindibile riconoscimento.

 

Siamo quindi di fronte ad una formazione di tipo “iniziatico” svolto presso un “maestro”, e di natura esperienziale, che prevede cioè una comprensione profonda, emotiva e non soltanto astratta. Qualunque persona può ovviamente parlare di psicoanalisi, maneggiare i suoi concetti (per sempio quelli di resistenza, inconscio, transfert, archetipo, ecc.) ed esprimere opinoni al riguardo, ma a permetterne la migliore comprensione rimane l’esperienza personale diretta. Trattasi di un arricchimento di natura intellettuale e interiore che fa dell’analista un esperto dell’ascolto. E quanto difficile è, oggi più che mai, sentirsi ascoltati e considerati nella propria unicità, al di là dei facili pregiudizi, dei protocolli, delle statistiche, delle categorizzazioni psicopatologiche e della stigmatizzazione psichiatrica! Il bisogno di parlare, di essere ascoltati, di svolgere le proprie questioni senza premura, secondo il proprio metro e in tutta libertà rimangono i primi requisiti per indirizzare una persona verso la psicoanalisi. E se mai un giorno dovessimo ritenere di poter bypassare la parola, di non avere più bisogno di ascolto e di interrogarsi su di sé vorrà dire che la psicoanalisi avrà fallito il proprio compito sociale. Considerando l’ascesa inarrestabile della psicofarmacologia e delle tecniche psicoterapiche spicce, un tale scenario si sta rivelando purtroppo tutt’altro che utopico. Anche per questo, formare analisti, nonchè lottare affinché la psicoanalisi possa sopravvivere nelle istituzioni pubbliche e private, appare pù che mai importante.

 

Di fronte al dilagare delle scuole di specializzazioni aderenti alla politica terapeutica dominante che trasformano la persona in paziente, l’adetto in specialista (in “tecnopsy”, per riprendere la felice espressione di Jacques Alain Miller) e il disagio in malattia (il “disturbo” diventando segno della presenza di quest’ultima, come il fumo è segno della presenza dell’arrosto), la formazione in seno all’APE intende ridare la priorità all’analisi personale. A garanzia di serietà, per gli analisti della delegazione italiana viene espressamente assegnato un numero massimo di analizzandi. Gli analizzandi in formazione dovranno altresì partecipare ai vari corsi e alle conferenze organizzati dalla nostra Scuola come complemento clinico, teorico e culturale all’analisi personale e che sono man mano pubblicati sul nostro sito http://ape-psychanalyse.com/ .

 

All’analizzando in formazione viene inizialmente richiesto l’adesione all’APE come membro non analista e al termine del percorso formativo potrà a sua volta richiedere l’iscrizione al Registro degli analisti dell’APE http://ape-psychanalyse.com/167-2/membres-actifs/ .

 

Infine tutti i membri dell’APE sono tenuti al rispetto del nostro codice deontologico http://ape-psychanalyse.com/167-2/code-deontologiquecodice-deontologico/ .

 

ANTOINE FRATINI

 

 

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