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Il “colore del melograno” di Paradžanov di Nicola Velotti

Il regista Sergej Iosifovič Paradžanov, nato in Georgia nel 1924 sotto il regime sovietico da genitori armeni, nel film del 1969 “Il colore del melograno” commemora la terra d’origine dei suoi genitori attraverso quello che è considerato il più grande poeta trovatore armeno del Settecento, Sayat Nova. Paradžanov ne ripercorre l’esistenza attraverso una serie di quadri viventi che ne rievocano in maniera surreale e metaforica diverse fasi della sua vita, dall’infanzia alla morte, tutti introdotti dai versi del poeta. Le immagini sono una trasposizione onirica e visionaria di immagini che rievocano l’arte figurativa bizantina e sono architettate in una moltitudine di dettagli anche suontosi, ma sempre in un bilanciato equilibrio compositivo.Ogni sequenza del film rappresenta in forma allegorica un rituale simile per la modalità di raffigurazione al teatro Nō giapponese. Le inquadrature frontali e la macchina da presa fissa ricordano tanto le illustrazioni medioevali senza prospettiva. L’utilizzo stesso degli attori è fuori dalle regole, con la musa del regista Sofiko Chaureli impegnata in sei diversi ruoli, anche maschili. In tutto il film il regista cerca di riprodurre ed evocare in maniera poetica il mondo fisico fatto di colori ed aromi che ispirò il poeta. I dialoghi risultano quasi inesistenti, la storia è narrata da una voce fuori campo, i canti e le musiche della tradizione armena intensificano la profonda religiosità e spiritualità del film, i rumori sono usati come una sorta di punteggiatura filmica. Oltre alla dimensione religiosa emerge nel film grazie alle liriche amorose del poeta anche una dimensione di sensualità e seduzione. Nel finale dopo la morte del poeta appare la sua musa e una didascalia in cui c’è scritto che le muse sopravvivono ai poeti. L’espressione artistica di Paradžanov fu limitata in ogni modo perché il governo sovietico lo accusò di essersi allontanato troppo dai canoni del realismo socialista, e per questo motivo iniziò per lui un periodo tragico nel quale fu condannato a cinque anni in un campo di riabilitazione con l’accusa di omosessualità e furto e gli risultò di fatto impossibile girare altri film sino agli anni ’80, a pochi anni dalla morte. La visione di questo film sorprende per essere ancora oggi all’avanguardia e avrà sicuramente ispirato registi come Peter Greenaway, Federico Fellini e tanti altri. Parafrasando Martin Scorsese vedere Il colore del melograno e come entrare in un’altra dimensione dove la bellezza è stata liberata dal tempo.

NICOLA VELOTTI 

 

Alcune immagini tratte dal film:

 

 

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