L’inconscio che crea: Lacan e Jung due prospettive sull’arteterapia di Nicola Velotti
L’arteterapia, come pratica clinica e come dispositivo simbolico, affonda le sue radici in una pluralità di orientamenti teorici. Tra questi, il pensiero di Carl Gustav Jung e quello di Jacques Lacan rappresentano due contributi fondamentali, profondamente differenti per impostazione epistemologica, ma entrambi centrali nel riconoscere all’immagine, al gesto creativo e alla produzione simbolica un ruolo cruciale nel processo terapeutico. Jung e Lacan, ciascuno con la propria visione dell’inconscio e della soggettività, forniscono all’arteterapia non soltanto strumenti clinici, ma vere e proprie cornici ontologiche per comprendere la funzione trasformativa dell’atto artistico.
Per Jung, il processo creativo è una manifestazione diretta dell’inconscio collettivo, quella dimensione archetipica della psiche che si esprime attraverso immagini universali, miti e simboli. L’inconscio, lungi dall’essere solo un deposito di contenuti rimossi o conflittuali, è per Jung una fonte generativa di senso. Quando l’individuo entra in crisi e quando la coscienza si confronta con l’irruzione dell’incomprensibile è proprio l’immagine onirica, pittorica e visionaria a costituire il ponte tra ciò che non si può dire e ciò che può essere trasformato. Nei suoi scritti Jung attribuisce grande importanza alla tecnica dell’immaginazione attiva, una pratica attraverso cui il paziente è invitato a dialogare con le immagini interiori, a rappresentarle graficamente o plasticamente lasciando che l’inconscio parli attraverso la forma. L’arte, in questo senso, non è un prodotto estetico ma un processo psichico: uno spazio intermedio in cui coscienza e inconscio si incontrano. In tale prospettiva l’arteterapia non si limita a un’azione catartica o espressiva, ma diventa un vero e proprio rito trasformativo attraverso cui l’individuo può rinegoziare il proprio equilibrio psichico riconoscendo e integrando le parti negate del sé.
Molto diversa, ma altrettanto feconda, è l’impostazione lacaniana. Lacan muovendosi in continuità con Freud, ma riformulandone radicalmente l’apparato teorico, concepisce l’inconscio strutturato come un linguaggio. L’inconscio non parla per immagini archetipiche, ma per significanti e il simbolico e l’immaginario restano due registri fondamentali per comprendere il funzionamento della soggettività. Nell’esperienza artistica ciò che conta per Lacan non è la comunicazione di un contenuto, ma la possibilità di fare emergere una mancanza, un buco nel sapere attorno al quale il soggetto si costituisce. In questo senso l’opera d’arte, anche quando prodotta in contesto terapeutico, non è la rappresentazione di un senso nascosto, ma la messa in forma di un enigma. Il sintomo stesso secondo Lacan è una formazione dell’inconscio che può essere letta come una creazione: un modo in cui il soggetto si tiene insieme attraverso il godimento (jouissance) del proprio linguaggio. L’arteterapia se letta con strumenti lacaniani si configura dunque come un campo in cui il soggetto può riscrivere la propria posizione non trovando un senso già dato, ma decostruendo e ricostruendo la propria relazione con l’Altro.
Se Jung fa dell’immagine il veicolo di una riconciliazione simbolica con l’inconscio, Lacan vede nella produzione artistica un gesto di rottura e di reinscrizione: l’arte non guarisce perché rivela, ma perché apre uno spazio di vuoto dove il soggetto può articolare un desiderio non alienato. Entrambi tuttavia convergono nel riconoscere all’atto creativo una funzione che va ben oltre l’estetica: per Jung è lo spazio del sacro che si manifesta nella psiche; per Lacan è l’intervallo tra il simbolico e il reale dove può emergere qualcosa di nuovo. In entrambi i casi l’arteterapia diventa una clinica della soggettivazione.
Oggi nella pratica contemporanea dell’arteterapia queste due prospettive continuano a influenzare approcci e metodologie diverse. Il modello junghiano trova espressione nei contesti che valorizzano il simbolismo, la narrazione e la trasformazione interiore. Il modello lacaniano ispira invece quelle pratiche che pongono l’accento sul linguaggio, sull’alterità e sull’atto. Due visioni che non si escludono, ma che offrono all’arteterapeuta strumenti complementari per accompagnare il paziente nel proprio processo creativo di soggettivazione. Nel mondo dell’arteterapia, dove il senso si costruisce attraverso il segno e l’immagine, le tracce di Jung e Lacan restano essenziali per pensare l’inconscio non come ostacolo, ma come possibilità creativa.