Cookie Policy La figura di Cristo in Pasolini di Nicola Velotti -

La figura di Cristo in Pasolini di Nicola Velotti

E’ con “La ricotta”, episodio di “Rogopag”, che il cinema di Pasolini raggiunge il risultato forse più alto. Due citazione dai Vangeli precedono i titoli di testa del racconto, che ripropone il singolare cristianesimo dei film precedenti, e fa da prefazione a quello su “Il Vangelo secondo Matteo”. Le scene a colori della Passione ci riconducono ad un motivo predominante nell’opera pasoliniana: il cinema inteso come ricomposizione manieristica della realtà.

“La ricotta” mostra quanto l’ideologia di Pasolini sia diventata chiusa e disperata, e come in essa confluiscano e coesistano, ormai stabilmente, il  recupero   di un’indignazione cristiana fortemente radicalizzata, e la correlativa riduzione della componente riduzione della componente marxista, del resto sempre approssimativa e contrastata a furore protestatario, che ricade e si consuma in se stesso.

Come è stato accennato precedentemente, “La ricotta”prelude direttamente al film su “Il Vangelo secondo Matteo”;dovranno passare quasi due anni prima che Pasolini si sente maturo per compiere un’impresa così ardua.

“Poesia in forma di rosa”, che esce lo stesso anno de “Il Vangelo secondo Matteo”, rappresenta una valida testimonianza dei dubbi e della profonda sfiducia, con cui Pasolini, durante questo periodo, guarda retrospettivamente a sé e al proprio impegno negli anni cinquanta.

Egli afferma, nella poesia “L’alba meridionale “, di essere di nuovo disoccupato, “un ragazzo dalle cattive e ingenue letture che scrive per vendetta (contro di sé) e offre  un corpo di martire agli indifferenti”. (1) Questa    sfiducia    è    caratterizzata   da     due    motivi     ricorrenti    e complementari: la necessità di un’opposizione al mondo dei rapporti umani mercificati, e la scoperta di una più vasta dimensione proletaria, antitesi innocente e miserabile nei confronti dello splendore tecnologico della società capitalistica.

Il film “il Vangelo secondo Matteo” si colloca in questo contesto autobiografico e culturale, e il rapporto con il libro di Matteo si risolve in una fedele anche se liberissima variazione sul testo, che si dilata e si trasforma in un rifacimento folle – erudito, dove ciò che conta è il taglio personale della rilettura di Cristo, come metafora di una radicalità e mito di una protesta.

In questo film, la figura di Cristo si presenta fondamentalmente come qualcosa che contraddice la vita così come si configura nell’uomo moderno, con la sua grigia orgia di cinismo, di brutalità pratica e di odio per ogni diversità.

Al di là di una connotazione ideologica, il Cristo è inteso da Pasolini anche come figura paterna, con la sua carica di autorità, e con il suo senso di seducente protezione, figura desiderata, idealizzata, ma nel contempo negata, quasi un alter ego di quella presente nel “chronos” dell’artista.

Il Cristo di Pasolini è, soprattutto, quello del grande discorso antifarisiaco davanti a Gerusalemme, caratterizzato da parole di violenza e di rifiuto, dettate da un sofferto e misconosciuto amore; egli è radicato in un paesaggio completo e riconoscibile, circoscritto dalla dolente coralità della folla e, nello stesso tempo, inaccessibile, come una figura mitica.

“Il Vangelo secondo Matteo” rappresenta l’epilogo della prima fase dell’attività cinematografica pasoliniana, sia nel senso che l’autore non ritroverà, se non marginalmente e sempre con ironica consapevolezza, lo slancio utopico e sentimentale del suo Cristo “dolce ardente”, sia perché l’equilibrio fra la tecnica e il mito, le due tensioni del cinema di Pasolini, si inclina e si spezza a favore del mito.

Dopo la delusione ideologica che caratterizza “Poesia in forma di rosa”, e il “Vangelo secondo Matteo”, Pasolini tenta con “Uccellacci e uccellini”, l’esperimento di un’operetta poetica nella lingua della prosa, dove passione ed ideologia, diventano il tema stesso del film. La delusione ideologica, nel film, prende corpo nel paesaggio: una grigia e sterminata periferia da dopostoria, che si perde in uno spazio vuoto, dove industria e campagna si sovrappongono misteriosamente.

Il motivo centrale, la crisi, il ripensamento di un modo d’essere e di volere essere, che Pasolini intendeva affrontare, resta in larga misura inespresso. Sembra quasi che all’originaria intuizione elegiaca e mortuaria in base alla quale il film era stato concepito, si sia sovrapposta, pur rimanendo astratto e volontaristico, il proposito ideologico di un apologo sulla continuità del marxismo degli anni cinquanta.

“Uccellacci e uccellini” si propone quindi come una opera incerta e interlocutoria, rivelatrice di una pausa, forse necessaria, dopo lo splendido apologo di “La ricotta” e la metafora irripetibile di “Il Vangelo secondo Matteo, e, contemporaneamente, si prospetta come un film – saggio che interroga se stesso, e rimette in discussione, attraverso il timbro ironico e aforistico dell’apologo, le passione e l’ideologia dell’autore.

(1)P.P. Pasolini “L’alba meridionale” – in “Poesia in forma di rosa” – Milano –
Garzanti – 1964 – pag. 193

NICOLA VELOTTI

Lascia un commento

Pin It on Pinterest