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Alex Zanardi e il mito dell’Eroe Tragico di Antoine Fratini

Risulta oltremodo difficile anche solo sfiorare con una critica un campione osannato da tutti per le sue straordinarie doti di tenacia, coraggio, determinazione, positività e forza morale. Anche quando questa critica non si rivolge né alla persona, né al campione, ma piuttosto a quello che esso rappresenta o ha finito per rappresentare per il popolo grazie alla potenza (straordinaria pure essa) dei mass media e di un archetipo dominante.

 

La difficoltà sta anche nell’operare un salto di prospettiva tale da potere osservare la vicenda personale di Zanardi per il valore simbolico che riveste rispetto alla nostra civiltà. Per le sue numerose imprese sportive e soprattutto morali, Alex Zanardi sembra essere diventato l’incarnazione di un archetipo che domina incontrastato la nostra civiltà fin dai tempi della Magna Grecia: quello dell’Eroe della mitologia classica. Quell’antica figura di culto, che ho voluto ribattezzare Eroe Tragico[1], trova il suo aspetto più rilevante non tanto nelle sue memorabili imprese quanto nei castighi che ne conseguono. L’Eroe Classico porta nella struttura stessa dei suoi mitologemi il tratto distintivo della hybris, ovvero l’orgoglio e la volontà di potenza smisurati che immancabilmente lo spingono a trascendere e a sfidare gli dei. I castighi divini che ne conseguono hanno la caratteristica precipua di non contemplare soluzione di continuità, il che rende benissimo, in maniera simbolica, la situazione di impasse nella quale si può trovare un individuo o anche tutto un popolo nell’aderire acriticamente a questo modello. Nella mitologia, si pensi per esempio a Sisifo condannato a spingere il masso insolente che immancabilmente ricade dall’altra parte della montagna, o a Issione il cui destino di girare in eterno incatenato ad una ruota infiammata non è meno crudele. Tali punizioni si ripetono dunque all’infinito con una raffinata crudeltà appannaggio degli dei.

 

Trasposto in linguaggio psicoanalitico la hybris equivale all’inflazione dell’Io: un Io che si gonfia a dismisura e non accetta i propri limiti violando così una delle due regole d’oro scritte sul frontone dell’entrata del tempio di Apollo a Delfi: “niente di troppo”, anche se ricordiamo più volentieri l’ingiunzione “conosci te stesso” che le sta accanto. Ho avuto spesso modo di constatare che quella frase, “niente di troppo”, quando non è semplicemente caduta nell’oblio, tende ad essere addirittura intesa nel senso opposto al significato originario, cioè nel senso che niente di ciò che possiamo fare è di troppo e quindi che la dismisura sia non solo lecita, ma anche auspicabile. Se mettiamo assieme quell’equivoco alla già ricordata ingiunzione circa l’autoconoscenza, non ci possiamo stupire che la dismisura sia stata adottata come base della nostra concezione dell’essere, la quale riposa sul primato della volontà. In concreto, non accettare i propri limiti significa, per esempio, rifiutare la morte, l’invecchiamento, non vedere le esigenze trasformative dell’anima e ritenere fermamente di potere svolgere qualunque impresa in qualsiasi momento e in ogni condizione, erigendo così la volontà e la determinazione, due delle caratteristiche principali dell’Eroe Classico, a valori assoluti. Significa, in sintesi, lasciarsi possedere da un archetipo anziché esserne solo stimolati. La questione fondamentale, filosofica e psicologica, sollevata qui è dunque quella del limite. Nello specifico del limite dell’atteggiamento eroico, il quale ovviamente rimane lecito e positivo fintanto che non diventa unilaterale, inappropriato alla situazione o esagerato. Il che non è sempre facile accorgersene.

 

Dalla prospettiva appena abbozzata, le gesta di Alex Zanardi risultano veramente eroiche, perché dettate dallo stesso immemore archetipo, ma anche tristemente tragiche. Diventa allora quasi patetico il tentativo, da parte dei media e commentatori, di elevare a modello la vita rischiosa e tragica di un atleta che, dopo avere perso purtroppo entrambe le gambe in una lontana competizione automobilistica si schianta ora contro un camion durante una gara di handbike, piombando in un coma dal quale non si sa se né come uscirà. Qui la solita litania dell’eroe cui ispirarsi lascia il posto ad una triste morale. Occorrerebbe forse ascoltare la voce di coloro che condividono la sua vita per capire se questi non avrebbero preferito un padre e un marito meno eroico…

 

Certo, quell’atteggiamento eroico Alex lo ha espresso al massimo grado, trasformando una tragedia immane in un ulteriore punto di partenza. D’altro canto l’uomo nel corso della Storia ha spesso dovuto trascendere i propri limiti per sopravvivere ed evolversi. Ma, come vi sono limiti palesemente da superare, vi sono anche regole e valori da rispettare. Dal punto di vista psicoanalitico l’atteggiamento eroico resta più consone alla prima metà della vita, quando l’Io deve mettersi alla prova per fare emergere quelle doti necessarie alla sua affermazione. Nella seconda metà della vita però lo stesso modello deve lasciare posto ad un altro, ancora più antico, basato sulle dinamiche rigenerative di cui il Sole rappresenta da sempre il prototipo[2]. L’Eroe Solare ripercorre le vicissitudini del Sole che sorge, giunge allo zenit, inizia la curva discendente per poi passare attraverso la notte mortifera e risorgere rinnovato. Occorre sottolineare che, dal punto di vista psicologico, non si da nessuna rinascita senza morte, la quale equivale ad una profonda trasformazione della personalità. Qui il tempo risulta circolare, o meglio spiralico, anziché lineare. Per questo C.G. Jung interpreta giustamente il suo sogno dell’uccisione dell’eroe wagneriano Siegfrido raccontato per la prima volta nella sua autobiografia, come la necessità di porre fine ad un atteggiamento desueto onde potersi rinnovare interiormente. Nel caso specifico Siegfrido non è una allusione inconscia all’”antagonista” Sigmund Freud, come sostenne E. Fromm, ma bensì la rappresentazione culturale più prossima, per il sognatore, a quel modello di eroe impigliato nel tempo lineare e che impedisce il rinnovamento. A tale proposito Sonu Shamdasani, basandosi su documenti non ancora resi pubblici[3], fa notare che dalla versione originaria dell’autobiografia di Jung sono stati tolti lunghi passaggi che mettono maggiormente in evidenza il sentimento positivo di liberazione dell’autore rispetto al dolore rappresentato dal dovere abbandonare la strada freudiana.

Ora, mi pare di intravedere nella vicenda Zanardi, come in tante altre vicende del genere raccontate dal cinema come dalla letteratura, una problematica che tocca oggi l’intera nostra civiltà. Ritengo pertanto che vi sia oggi una urgente necessità di sostituire il modello dell’Eroe Tragico improntato alla competitività sfrenata e alla dismisura egoica che ci hanno portati ad un passo dal collasso sanitario ed ecologico, con quello dell’Eroe Solare basato sulla cooperazione e sull’armonia con la Natura, dentro e fuori di noi.

 

 

Alex il grande

L’Eroe eternamente presente

Alex il campione di tenacia

La vittima mercuriale forse

Alex figlio del Vento

E del Tempo

Appeso all’Albero sacrificale

L’uomo menomato perduto spacciato

Pel culto dell’Eroe tanto onorato

Sono ora gli Dei

A sancire il tuo già tragico destino

 

[1] A. Fratini, La religione del dio Economia, CSA Editrice, Crotone 2009.

[2] Anche se occorre dire che nella vita le cose non sono mai così schematiche.

[3] Danger et nécéssité de l’individuation, Colloques de Bruxelles, Esperluète/L’Arbre Soleil 2015.

 

ANTOINE FRATINI

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