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Wanda Marasco “La compagnia delle anime finte” una lettura di Nino Velotti


SCRITTA IL 15 LUGLIO 2017

Conosco Wanda Marasco da qualche decennio. Poetessa feconda dalla voce inconfondibile, donna di teatro, insegnante ideale, persona gentilissima e meravigliosamente umana. Narratrice straordinaria che qui fa confluire tutta la sua poesia vitale e la sua brulicante passione per il teatro. Teatro del corpo e della crudeltà insieme, insieme ai “corpi eterici” (l’ectoplasma della piccola Filomena che gioca nelle stanze della grande casa dei Maiorana in via Duomo al primo piano nobiliare e nella psiche straziata di sua madre Lisa, “ancora bella, alta e formosa, con due scaglie di specchio al posto degli occhi; la “persona ubiqua” del vecchio mendicante con i suoi occhi celesti enigmatici al confine esoterico degli spazi della città), “questi fantasmi” di eduardiana memoria che si confondono coi vivi diventando come maschere di Ensor per descrivere il dramma della vita… Le descrizioni sono magnificamente soggettive, oggettivamente magnifiche (l’incipit è la morte di una madre scolpita nel marmo e nella memoria di una figlia meglio di un Cristo velato), di un barocco napoletano che assume tinte acide ed allarmanti, malate di solitudini affollate di polvere nelle necropoli degli ipogei e nella promiscuità funerea di persone e cose dei vicoli, con la sua “guagliunera” e le sue prospettive sghembe e allucinate; le deformità espressionistiche di queste anime-personaggi sono tutt’uno col paesaggio-fondale partenopeo e col montaggio intrecciato della storia raccontata. Tutti indimenticabili, tutti protagonisti, nessuna comparsa, dalla nonna materna di Rosa, la voce narrante del libro, quella Adelì di Villaricca che sintetizza tutta la spietata praticità della civiltà contadina verso animali e creature umane, figlie comprese, al maestro Umberto Nunziata e alle amiche dei vichi; da Mosca l’usuraio alle “orche” del vicinato; dal vecchio cacciatore Sepe al trans Mariomaria. Tutte figure-anime di carne tragiche e atroci, unite da un destino segnato altrettanto tragico e senza alternativa di guarigione, senza una via di fuga se non nel pathos. Potentissimo il desiderio del borghese di città Rafele Maiorana per la bellissima plebea cafona Vincenzina Umbriello, ossia il padre e la madre di Rosa: Rafele, piccolo impiegato al Comune che non farà mai una carriera degna dei suoi familiari, si masturba in una frenesia estatica al pensiero della miss da poco incontrata e le si addormenta dentro una volta presa come moglie contro il volere della madre Lisa. Certo, aver finito di leggere questo bellissimo romanzo così intenso e doloroso mentre il Vesuvio bruciava per gli incendi dolosi, mentre un numero imprecisato di animali e piante finiva in fumo, ginestra leopardiana compresa, non per l’azione naturale dello “Sterminator Vesevo” ma per il calcolo abietto di gente senza scrupoli, cancro di questa terra martoriata, non ti fa di certo essere simpatizzante e tantomeno orgoglioso dell’estremismo bipolare del popolo vesuviano – a cui apparteniamo – e finisci con l’interpretare – sicuramente sbagliando – quel “finte” riferito alle anime del titolo anche come “insensibili”, “plateali” nonché “disumane”, incastrate nei giochi perversi del male. Ma ogni ferita può diventare una feritoia di luce e nel messaggio ultimo del libro la malattia – anche morale – che ci portiamo dentro è soltanto una paura (“‘E che?” chiede la madre all’inizio racconto, che va a coincidere ciclicamente con la fine), quella paura che i “medici l’hanno chiamata con un altro nome” e che dobbiamo assolutamente superare….

 

Grazie dal profondo del cuore, anche per avermi fatto piangere, grande Wanda! Nel mio “ritrattiello” col tuo libro prezioso ho preferito togliere dal volume la fascetta con la scritta “Finalista LXXI Premio Strega 2017”. Geniale come sei con la tua creatura viva palpitante d’inchiostro e di esistenze avresti dovuto vincerlo senza ombra di dubbio, ma sono anche del parere che i premi vinti oggi siano spesso garanzia di mancanza di originalità e di qualità standard, se non di corruzione per loschi giochi di potere.

NINO VELOTTI

 

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