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Conosci te stesso con “Ruggià” di Maria Fausto

“Le magiche avventure di Ruggià” di Nino Velotti, edito da Armando Curcio Editore, muove la sua genesi dal crocevia in cui l’alta poesia s’incontra coi motivi antropologici ed ontologici della fiaba, dipanandosi per quattro storie-vie che conducono il lettore-uomo a riprendere quel filo che riconsegna ognuno al proprio Sé. Con la sua voce fuori campo, trasfigurata nel corpo letterario e psichico delle avventure di Ruggià, Velotti è il dono del filo di Arianna a Teseo che ci permette di decifrare e passare oltre il labirinto della vanità.

Nel primo poema fiabesco di apertura del libro, Ruggià dovrà mettere in salvo quattro pulcini colorati, non ci riuscirà se non accompagnato dal cane Natalino: tenendosi cioè ben ancorato al suo istinto avrà in dono da una fata-mago delle armi magiche con cui riuscirà a sconfiggere l’arpia non annientandola, ma redimendola.

Al bambino sensibile ma coraggioso che vive in un tempo passato, ma non troppo distante dal nostro, sarà rivelato il viso altro del male, che come nella teoria eraclitea degli opposti, non può che essere il bene. In questo senso l’altruismo al quale l’autore vuole consegnarci non ha nulla di lezioso, ha piuttosto a che vedere col banco della prova e con l’amor del vero.

“Capricci d’ansia che tu non capivi, quell’angoscia di bimbo tu mutante/ che eri in te e che non cambi mai tra i vivi…/ triste d’essere al mondo, ingiusto mondo/ che i vivi intrappola tra i recidivi”.

In questo senso Velotti ci mostra che è giusto la condizione del disagio esistenziale di stare al mondo il monito stesso a vincerlo, non astenendosi da esso, ma percorrendo quel viaggio necessario a tracciare un tragitto nuovo che coincida con noi che del mondo siamo giustappunto l’apporto che manca, il posto che non c’è.

Ricorrente inoltre nell’opera di Velotti, è il concetto di scoprire inteso nella sua accezione etimologica di “rimuovere ciò che nasconde”: squarciare il velo di Maya si fa presupposto imprescindibile della ricerca. Di fatti, nella seconda delle storie che compongono l’opera, Ruggià si imbatte in “Verità” che appare come una persona coperta di veli ed in un’altra delle sue avventure un uccello irromperà nella sua stanza per fargli dono di alcuni occhiali a raggi x attraverso cui guardare alla vera essenza delle persone; giacché una ricerca di sé che voglia dirsi autentica, disvela che l’altro ci è connaturato, che comprendere l’altro è il fondamento del ritorno a sé.

“L’ordito del mondo scoprirai, / nudità sotto apparenze vedrai”

Non senza il passaggio dalla discarica infernale per recuperare un cuore di piombo: è chiaro che ascesa e discesa coincidano in un unico punto cruciale.

E le ombre non sono poi così terribili se si combattono a suon di Poesia: “Con me, anche il nulla presto cade/ se tu lo canti”. In questo modo Poesia esorta Ruggià – e tutti noi – a cantare, donandogli un quaderno per lasciare il proprio segno tangibile sull’oblio, spingendolo a tradurre in espressione l’ispirazione.

In conclusione, ibridando terzine dantesche a squarci narrativi, Velotti è il marinaio che con mirabile maestria linguistica e morale ci guida verso quella rotta comune di senso, a cavallo dell’onda portante di un simbolismo salvifico di cui l’autore ha piena competenza e che declina con originale inventiva.

MARIA FAUSTO

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