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L'”Io” che è “Noi” e il “Noi” che è “Io” di Felice Seneca

Capita, a volte, di incontrare libri che davvero lasciano il segno e fanno capire tante cose in modo nuovo.

Credevo che difficilmente si potesse presentare lo studio della psicopatologia in maniera insieme critica, accurata e profonda (anche nella dimensione esistenziale), più e meglio di quanto avesse fatto Karl Jaspers, tra i primi a proporre, come è noto, il “metodo che fa appello alla personalità“, fondato sul dialogo con il paziente, nell’ottica della cosiddetta psicologia comprensiva.

Quest’ultima, come si sa, costituiva, in effetti, una grande novità, negli anni Venti del Novecento, nei confronti sia della prospettiva somaticista, seconda la quale le malattie mentali erano da concepire come malattie del cervello, che della stessa psicanalisi che, secondo lo studioso tedesco, pur uscita dalle secche dell’erklaren naturalistico (per aprirsi al verstehen dilteyano), era pur sempre troppo ancorata ad una nuova, per quanto rivoluzionaria, ontologia della psiche, che finiva per agganciarsi, quasi esclusivamente, al fattore costituito dalla sessualità ed a dimensioni “metafisiche” date per accertate scientificamente.

La psicanalisi freudiana, per Jaspers, nonostante tutti i suoi meriti, legati soprattutto al fatto di liberare la cura del malato da pratiche esclusivamente mediche, finiva per confondere i due piani, quello del comprendere storico-esistenziale e quello dello spiegare causalistico. Per questo lo psico-patologo tedesco indirizzava la propria proposta di una “psicologia comprensiva” alla sfera esistenziale, anche in consonanza con la propria visione del mondo, successivamente ascritta alle cosiddette filosofie dell’esistenza.

È nota la sua franca presa di posizione, espressa sia in “Psicopatologia generale” (il voluminoso manuale adottato in tante facoltà universitarie di medicina europee fino agli anni Settanta del Novecento), sia in “Filosofia” (la più completa esposizione della sua visione del mondo), in cui possiamo leggere, con forti accenti critici, che  “la psicanalisi voleva comprendere tutto (…). Come Edison dominò la materia, così Freud dominò l’anima”e che”il malato di mente non è un animale, ma una disarmonia di possibilità. La sua incomprensibilità non è solo l’incomprensibilità dell’evento naturale, ma è simile all’incomprensibilità che caratterizza la possibilità di un altro (…) Il malato di mente può anche creare un mondo suo proprio che si pone come un enorme interrogativo di fronte all’esserci dell’uomo sano”.(Filosofia, p. 69)

Da tali presupposti discendeva la posizione jaspersiana, che dischiudeva finalmente la cura all’ “ascolto” autentico del paziente, non finalizzato solo a confermare teorie (rischio corso spesso sia dalla psicanalisi che dal somaticismo) ma alla comprensione vera dell’altro come possibilità andata incontro a fallimento o a vero e proprio naufragio esistenziale, all’origine anche della sofferenza o della malattia psichica vera e propria.

Etichettata troppo spesso come posizione scientificamente insensata e ricaduta nell‘irrazionalismo scientistico, in grado di confondere la pratica terapeutica con un approccio consolatorio e inefficace, la cosiddetta “psicologia esistenziale” è stata abbastanza riposta nel dimenticatoio, sia pur in maniera velata, tranne che da studiosi umanamente ripieni di senso critico (tanti, per fortuna, che hanno aperto la strada, tra l’altro, alla “consulenza filosofica“), i quali hanno saputo sganciarsi da un approccio esclusivamente ancorato a prospettive date, volta per volta, come “scientifiche”.

Tra questi, ultimamente, Antonio De Luca, che insieme ad Anna Maria Pezzella, ha dato di recente alle stampe “Con i tuoi occhi” (Mimesis Editore), il testo a più mani che si sforza di recuperare la psicologia esistenziale, emersa inizialmente soprattutto con l’opera di Karl Jaspers (oltre che con quella di tanti altri), e che cerca di valorizzare, nella comprensione di quel particolare “oggetto” di studio che è insieme “soggetto” umano, la dimensione intersoggettivo-relazionale.

Si tratta di un testo, come dicevo, scritto a più mani, ma che lavorano nella stessa prospettiva, quella che inquadra la sofferenza psichica soprattutto nel disagio esistenziale di chi ha visto la propria progettualità naufragare, ad esempio, per appuntamenti mancati con la vita o per il dolore del non-accadimento. Scrive Antonio De Luca, infatti, che “quando qualcosa lacera il vissuto, imponendosi come traumatico,  improvviso strappo,  definitiva separazione, esso espone, a partire da quel momento, come il negativo di un’antica foto, una prospettiva invisibile e di difficile comprensione, eppure così decisiva (…). É l’appuntamento mancato dell’esistenza, ciò che avrebbe potuto verificarsi e non è accaduto. Invisibile, lungo la strada del presente e del futuro, at-tende come un acuto predatore in silenzio, posto ai margini della vita, in attesa di brandire, con gli artigli dell’angoscia,  il cammino ad ogni passo. Il vissuto del non accadimento diviene quel vuoto che si avverte come snodo continuo, che accompagna ogni immagine in rilievo, ogni impegno, ogni momento significativo. È l’assenza”. ( “Con i tuoi occhi”, p. 240)

Non sono, queste ultime righe, che una brevissima citazione, tratta da un testo caratterizzato, tra l’altro, da una prosa bellissima, a momenti quasi poetica e che colgo l’occasione di segnalare grazie all’opportunità offertami dal mio amico Nicola Velotti, che mi ha invitato ad un intervento sulla rivista EA, che considero utilissima in un contesto contemporaneo sviato da tanti semplicismi, che orientano le menti a soluzioni e comprensioni superficiali e pericolose dei problemi, dall’approccio alla sofferenza psichica,alla comprensione del diverso e così via.

Ritengo che la via dell’impegno culturale a ciascuno di questi livelli (e, ovviamente, di tanti altri, che costituiscano chiavi ragionevoli di comprensione dell’epoca in cui viviamo) sia indispensabile per confrontarci e ritrovare, anche per questa via, una vera consapevolezza critica, la quale non può non partire dallo sviluppo dei temi “della relazione e del rapporto tra le persone, da cui deriva la conoscenza stessa, il senso delle cose, del nostro esistere” (“Con i tuoi occhi”, cit., quarta di copertina) e, in  particolare, della sofferenza degli ultimi, dei dannati (dagli altridella terra ad ogni livello, a iniziare da quei sofferenti più deboli di tutti che sono i cosiddetti malati di mente ed in riferimento ai quali, scrive nell’introduzione Anna Maria Pezzella “riflettere sulla relazione è oltremodo importante a livello terapeutico, perchè solo una corretta relazione tra il terapeuta e il paziente può alleviare le sofferenze di quest’ultimo”,(cit. p.19) così come solo una corretta comprensione critica può aiutarci ad uscire dal rischio del semplicismo delle soluzioni autoritarie sbrigative che oggi si fanno strada, purtroppo, ad ogni piano del nostro vivere, dai livelli relazionali più semplici a quelli socio-politici, testimoniando di una patologia contemporanea generalizzata, che può tradursi in trascinamento delle menti e delle coscienze verso disagi e conflittualità sempre più pericolose per la vita di tutti e del mondo stesso in cui viviamo.

FELICE SENECA

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