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La retorica dei Sofisti nella relazione di aiuto di Michele Curcio

La retorica si ritiene sia nata in Sicilia nel V secolo a.C. in ambito giudiziario, come metodo non violento per dirimere le dispute: nel frattempo che si compiva il dibattito, le parti non ricorrevano alla violenza fisica. Da fonti storiche sappiamo che fu utilizzata, presumibilmente per la prima volta, nel tentativo rendere giustizia ai cittadini che avevano subito la confisca dei terreni  da parte di Tiranno Gelone e dal suo successore Gerone I (Nicolini, Lazzarotto, Suttner, 2003).

Contemporaneamente nell’Attica la retorica si affermò come tecnica di persuasione.

Tra i sofisti furono Protagora e Gorgia che vennero considerati maestri di retorica.

Protagora di Abdera  con le antilogie, sviluppò la tecnica delle antitesi, secondo la quale per ogni questione, sia teorica che pratica, si possono definire degli argomenti a favore ed altri contrari.

Peraltro, va sottolineato che, ciò determina una forma di relativismo. Se ad ogni concetto è possibile opporre un altro, viene a mancare l’assoluto, una unica verità.

Con Gorgia, nato nell’Italia meridionale, a Leontini, si sviluppa il genere epidittico. Tale genere, usato nelle pubbliche cerimonie si prefiggeva di lodare persone o anche commemorare un defunto ed era indirizzato ad un pubblico generico. Nei nostri giorni viene abbondantemente utilizzato nella pubblicità.

Gorgia è anche ricordato per lo sviluppo di due aspetti fondamentali della retorica. L’arte di scoprire temi o concetti che abbiano un “peso” nel discorso e quindi dell’inventare discorsi.

Infine va considerato anche l’aspetto che più caratterizza l’opera più celebre di Gorgia, L’encomio di Elena, in cui attraverso un discorso epidittico, sviluppato esteticamente, si considerano le motivazioni istintuali, affettivo-irrazionali e dei sensi da farsi valere accanto, od anche contro le ragioni della ragione ed anche contro il senso comune che porta alla condanna della mitica Elena di Troia, come responsabile della celebre guerra tra Achei e Troiani. La difesa di Elena si basa sul presupposto che la sua arrendevolezza nei confronti di Paride fosse dovuta o all’innamoramento o piuttosto all’influenza di una dea, in particolare di Afrodite, per cui Elena avrebbe agito soggiogata. Questa tesi ha valore perché gli elementi non razionali hanno un peso nel nostro modo di vedere e di essere al mondo, non essendo l’uomo solo ragione.

Isocrate, allievo di Gorgia, promosse il genere epidittico-dimostrativo. La sua scuola, con sede ad Atene, prevedeva un programma di insegnamenti per la durata di tre o quattro anni e comprendeva materie di cultura generale ed ovviamente la retorica; lo scopo era educare al giusto, al bello ed al buono; concetti questi che nella cultura della Grecia Antica coincidevano, contrariamente a quanto oggi inteso.

A dimostrazione di una concezione di uguaglianza e libertà notevole Isocrate  arrivò a sostenere che  “non è greco chi è etnicamente un greco, ma chi lo è culturalmente”.

Tra i diversi Sofisti minori, sicuramente merita menzione Antifonte di Ramnunte, il quale viene accreditato di un metodo per la cura delle pene e dei dolori con le parole, infatti si pose la domanda “Perché non la parola per aiutare chi soffre di angoscia?”. Peraltro va sottolineato che il termine angoscia nel Corpus Hyppocraticum corrisponde ad uno stato patologico, quindi va considerato che Antifonte cerca una cura che utilizza la parola.

Di questo metodo purtroppo nulla ci è giunto per cui resta sconosciuta la tecnica. Peraltro ad enfatizzare le similitudini con gli odierni psicoterapeuti c’è che Antifonte godeva fama di essere in grado di interpretare i sogni.

Sappiamo inoltre che “istituì una specie di studio (ambulatorio? consultorio?) in un locale vicino alla piazza di Corinto dichiarando di saper sanare le angosce facendo domande e di poter rincuorare con le sole parole” (Skorjanec, 2000)

Comunque nei pochi frammenti rimasti dimostra di essere un fine conoscitore della psicologia.

Hadot nel suo “che cos’è la filosofia antica” ne riporta uno in particolare (pag. 182):” ci sono persone che non vivono la vita presente: è come se si preparassero, consacrandovi tutto il loro ardore, a vivere non si sa quale altra vita, ma non questa, e mentre agiscono così, il tempo se ne va ed è perduto. E’ impossibile rimettere in gioco la vita come si fa con un dado che si torna a lanciare”. E partendo da questo frammento che Hadot, assimilandolo a degli scritti di Epicuro e di Seneca, giunge a dire “è esistita tutta una preistoria del modo di vita filosofico e delle pratiche ad essa connesse (Hadot, 1998, pag 182). In ciò riconoscendo nei sofisti dei precursori di quella attività filosofica di cura della persona che l’autore ha studiato.

La retorica quindi, dai Sofisti, non era considerata come mistificazione o inganno, ma come capacità di interpretare e capire i discorsi o addirittura curare i mali dell’animo.

Peraltro va ricordato che, in quel lontano periodo storico, l’arte del parlare era tanto più importante quanto poco era sviluppata la scrittura, che di fatto era considerata solo ed esclusivamente di supporto alla memoria.

In quei tempi la scrittura era totalmente carente nella punteggiatura, e questo ha reso e rende ancora oggi difficoltosa l’interpretazione di molte parti scritte. Inoltre ciò rende ragione del perché di molti sapienti non sia rimasto nulla di scritto ed del fatto che molte delle parti scritte erano rese in forma di dialogo.

Allora, a maggior ragione,  la retorica, l’arte del ben parlare, non può che essere fondamentale nella comunicazione umana, anche in quella che caratterizza le relazioni di cura.

Il radicale greco rhe significa “dire” nel senso di fare uso del logos, del discorso. Con la retorica il discorso non viene sviluppato solo attraverso gli aspetti intellettivi ma si considerano al pari anche le componenti non verbali del discorso. Con ciò soprattutto i tratti fonici delle parole, le modalità di porgere il discorso, quindi la mimica facciale e la gestualità. Una delle caratteristiche del dibattito retorico è che avviene sempre nel “qui ed ora”, nella interazione tra due o più persone.

Certamente in ambiti di pertinenza scientifica la retorica trova raramente spazio, piuttosto vengono privilegiati gli strumenti appartenenti al pensiero analitico.

Non ci sarà mai una retorica che escluda l’utilizzo della parola come succede nelle sofisticate dimostrazioni scientifiche logiche-matematiche in cui si fa uso di numeri e di segni formalizzati.

Se invece il discorso si applica su argomenti appartenenti alla “cosa pubblica” o afferenti alle vicende umane allora la retorica trova applicazione, sono questi in generale gli ambiti in cui è da escludere il raggiungimento di una verità mentre trovano posto solo asserzioni più o meno probanti.

Classicamente vengono riconosciuti , almeno,  quattro scopi alla retorica: pedagogico, eristico, ermeneutico e funzione persuasoria.

Con la funzione pedagogica si predilige l’insegnamento, con l’eristica si scoprono o si inventano argomenti, con l’ermeneutica si persegue la funzione di interpretazione di un discorso o di una parola, infine la funzione persuasoria sicuramente tra le altre è quella che comunemente viene associata alla retorica.

La tradizione retorica attribuisce ai leggendari fondatori Corace e Tisia la definizione delle regole base per un buon retore:

  • Docere: avere un obiettivo, si riferisce ad un concetto o un argomento da insegnare, questa parte è squisitamente cognitiva e, peraltro, viene condivisa con la dialettica ed il pensiero analitico.
  • Movere ovvero fare presa sui vissuti, sulle emozioni dell’ascoltatore.
  • Delectare: riuscire a mantener desta l’attenzione.

Questi rappresentano tre regole per la costruzione di un buon discorso che graficamente possiamo disporre come: movere à (per) delectare à (al fine di) docere. (Skorjanec, 2000).

Il discorso deve quindi essere intenso e ricco ed al contempo dilettoso ed emotivo. Per raggiungere questi obiettivi i retori utilizzarono ed utilizzano anche  le figure retoriche.

La retorica, come parte della comunicazione verbale, prevede l’uso di “figure” che rendono più denso il senso ed il significato, rendendolo più fisico ed emotivo, il che consente una maggiore partecipazione al discorso da parte dell’interlocutore o dell’uditore.

Questo rende la retorica importante nel corso dei dialoghi, maggiormente quelli in cui ci si appresta a prendersi cura di un’altra persona, sia sul piano prettamente terapeutico sia in quello del counseling, ed a maggior ragione nella consulenza filosofica.

Le figure retoriche vengono normalmente e massicciamente utilizzate nel corso del linguaggio quotidiano, anche se difficilmente vergano ben discriminate. Nicolini (e Lazzarotto, Suttner, 2003) nel “La forma delle parole” cita uno studio di H. Pollio, Barlow, Fine e M. Pollio del 1977, secondo il quale “si usano in media quattro figure retoriche ogni minuto di conversazione, vale a dire che una persona nel corso della sua vita esprime circa 21 milioni di figure retoriche!” (pag. 111).

Alcune delle figure retoriche più comunemente utilizzate e famose sono l’allegoria, la domanda retorica, l’anafora (che consiste nella ripetizione di una o più parole o sillabe all’inizio di frasi o versi), l’epiteto, il paradosso e, probabilmente la più conosciuta, e forse usata, la metafora.

Questa ed altre figure retoriche chiariscono il discorso nel suo contenuto più affettivo, riportando la componente “viscerale”, corporea della parola o, meglio, del discorso.

La retorica andrebbe di diritto inserita, anche, nelle materie che studiano la comunicazione umana.

Il discorso del paziente/ospite è per sua natura sofferente, dunque esprime a pieno la componente fisica, emotiva del discorso e fa, generalmente, ampio uso di metafore od altre figure retoriche. Ed anche la risposta dell’interlocutore deve essere sullo stesso piano pena l’incomprensione o la mancata empatia.

Dunque la conoscenza delle figure retoriche ed, in generale, delle regole della retorica favoriscono l’interpretazione e la comprensione del discorso e favoriscono una risposta adeguata, tanto più ciò è importante quando si è all’interno di una relazione d’aiuto (consulenza, psicoterapia).

Con ciò quindi si intende sottolineare l’importanza della retorica a scapito della dialettica, generalmente considerata di riferimento nelle relazioni di cura.

Inoltre va sottolineato come nello studio della retorica sia rintracciabile un modo per affrontare, al di là delle componenti razionali, alcuni problemi che possono gravare od anche “bloccare” una persona.

Un classico esempio è dato dal dilemma, che in greco significa due premesse e che sovente è stato paragonato alle corna di un toro

Le opzioni classiche per confutare  un dilemma sono  tre, si può optare per una delle due corna o afferrarle entrambe. Ma questo spesso non è sufficiente; la retorica suggerisce altre ipotesi di soluzione: si può gettar sabbia negli occhi del toro; si può tentare di addormentare o distrarre il toro oppure ci si può rifiutare di scendere nell’arena. Queste soluzioni spesso risultano più utili ed efficaci; soprattutto quando non è stato razionalmente possibile risolvere il dilemma.

 

MICHELE CURCIO

 

Bibliografia

  • Abbagnano, Il pensiero greco, in N. Abbagnano  G. Fornero, P. Rossi: Filosofia storia parole e temi; RCS media group, Milano; 2018
  • Renato Barilli, Retorica, A. Mondadori, Milano, 1983
  • Antonio Capizzi (a cura di), I sofisti, La nuova italia, 1996
  • M. Pirsig – Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, Adelphi, Milano 1981
  • Pierre Hadot, Che cos’è la filosofia antica, Einaudi, Torino, 1998
  • Mario Unterstein, I sofisti, B. Mondadori, Milano 1996
  • Mario Unterstein, Fisiologia del Mito, La Nuova Italia Ed., Firenze, 1972
  • Nicolini, Lazzarotto, Suttner, La forma delle parole. Retorica per psicologi. Raffaello Cortina, Milano, 2003
  • Branca Skorjanec, il linguaggio della terapia breve, Ponte alle Grazie, 2000

 

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